Quattro ragoni per un libro su
Vittorino Andreoli
La prima ragione che mi ha dettato
di scrivere il libro Tragedia folle.
Mondo letterario di Vittorino Andreoli (Narcissus.me 2013) è parzialmente
personale. Vivendo a Verona sono entrato in contatto con gli scritti di Vittorino Andreoli, appunto un
veronese “sui generis”. Ad un certo momento ho tradotto in polacco due suoi
libri, I miei matti, Capire il dolore e alcuni racconti (tutt’ora
sono convinto che il meglio di Andreoli dal punto di vista letterario si trova
proprio nei suoi racconti). Durante questo lavoro ho incontrato e conosciuto
Andreoli stesso, ho approfondito la mia conoscenza della sua opera e sono
entrato in contatto con la sua mentalità. Quando poi Andreoli, ispirandosi ad alcuni
tratti della mia vita, ha scritto un romanzo dal titolo Il reverendo, mi è sembrato giusto rispondergli. Non si trattava di
una reazione critica in cui avrei spiegato se mi ritrovavo o meno nella figura
del protagonista (non mi ritrovavo), ma di capire il quadro intero in cui in
qualche modo ero stato inserito. Penso che questo inserimento mi avesse dato il
diritto di dire qualcosa a proposito. Il libro Tragedia folle è dunque su Andreoli, ma è un Andreoli con cui io mi
metto a dialogare.
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La seconda ragione riguarda il
dovere. Andreoli in mezzo secolo ha scritto circa un centinaio di libri e oggi
può essere considerato l’autore di un’opera molto estesa che spazia tra scienza
e poesia, saggio e teatro, romanzo e fotografia. Dai mass media è targato come
uno psichiatra, ma io sarei incline a parlare di lui non come di uno psichiatra
che scrive, ma piuttosto di uno scrittore che per un certo tempo ha fatto lo psichiatra.
In ogni caso mi sembrava più che giusto dare uno sguardo d’insieme all’immensa opus di Andreoli. E visto che in Italia
non esisteva nessun saggio a proposito di lui, ho deciso di scriverlo. Il mio libro
potrebbe essere considerato come un ritratto di Andreoli e come una introduzione
alla sua opera. L’osservatore più attento di sicuro ha notato che questo
scrittore sforna tre o quattro libri ogni anno, che appaiono nelle librerie e
poi ne scompaiono velocemente, perché sono dentro il meccanismo del mercato
editoriale che interessato principalmente delle vendite e accecato dalle novità
per un weekend perde di vista l’opera nell’insieme. Penso che il mio libro
permetta un attimo di riflessione e aiuti ad inserire ogni “novità Andreoliana”
dentro un disegno più vasto ideato da Andreoli stesso.
La terza ragione è legata al desiderio di capire più a fondo la tragicità. Ho trovato Andreoli come esponente par excellence di una visione cupa, morbosa, violenta, corrotta e folle della realtà. Nei suoi libri, gli omicidi, i suicidi, la follia, la violenza di ogni tipo, la morbosità e la volgarità fanno da protagonisti. Di solito, i ricercatori dell’arte di essere sorvolano velocemente su questi temi, cercando le consolazioni nelle zone delle armonie cosmiche, con le luci più soffuse e i cuori consolati delle melodie di “relax” meditativo, con il profumo dell’incenso e gli occhi dolcemente socchiusi. In Andreoli invece gli occhi sono spalancati dalla paura, c’è una cacofonia del caos e una puzza di carne umana senza alcun trucco. Certo, è un tratto personale dello scrittore che spesso diventa stancante, può sconvolgere e può non piacere. Ma penso che nelle zone della serenità e della pace a cui molti oggi cercano di abbordare si arrivi solo attraversando la valle oscura della realtà. All’amore della saggezza (filosofia) non si può arrivare solo attraverso l’incanto, perché nella vita non si può evitare anche il disincanto radicale. Per evitare l’illusione bisogna passare attraverso la disillusione. La sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la morte sono le tappe obbligatorie del cammino di ogni Buddha (illuminato) di tutti i tempi. Il mondo letterario di Andreoli è caratterizzato dalla tragedia folle e offre un ritratto della società contemporanea con cui bisogna fare i conti nel cammino della saggezza. Non credo che Andreoli sia un saggio o possa fare da guida, ma la frequentazione dei suoi scritti può sconvolgere e aprire alle ricerche spiritualmente più serie e profonde. Questo scrittore è una voce del lato oscuro della realtà e la sua opera fa da avvertimento di che cosa potrebbe succedere a noi e al nostro mondo se non intraprendessimo un seria ricerca esistenziale.
La quarta ragione è spirituale. Grazie ai miei interessi personali, con particolare attenzione ho cercato di tracciare alcuni tratti religiosi e teologici di Andreoli. È un caso interessante e particolare. Questo scrittore, pur dichiarandosi “non credente”, si pronuncia spesso sulla spiritualità, dialoga con il mondo religioso e nella sua prospettiva laica parla di un “Dio che non c’è”. È una voce tipica di una corrente oggi diffusa. Cresciuto nel cattolicesimo italiano del primo Novecento, non si ritrova più né con le istituzioni religiose tradizionali, né con i nuovi movimenti religiosi e, non riuscendo a liberarsi da un “imprinting” catechetico del passato, si sente spaesato, cerca, si arrabbia, si disgusta, si rattrista. Andreoli, con la sua tragedia folle e disperazione cupa, cerca e, credo, trova un raggio di luce nella tenerezza e nella fragilità delle relazioni umane e nella quiete solitaria della natura in cui regolarmente fugge e di cui poi scrive con sensibilità e attenzione poetica. Ho trovato affinità del suo pensiero con le intuizioni dei mistici che parlano dell’esperienza negativa o apofatica di Dio o del nulla della tradizione vedica e buddhista. Non so se Andreoli stesso ha varcato queste porte, ma almeno ha osato bussare in esse e i suoi libri lo testimoniano e ci spingono a farlo.
© Maciej Bielawski (2013)
La terza ragione è legata al desiderio di capire più a fondo la tragicità. Ho trovato Andreoli come esponente par excellence di una visione cupa, morbosa, violenta, corrotta e folle della realtà. Nei suoi libri, gli omicidi, i suicidi, la follia, la violenza di ogni tipo, la morbosità e la volgarità fanno da protagonisti. Di solito, i ricercatori dell’arte di essere sorvolano velocemente su questi temi, cercando le consolazioni nelle zone delle armonie cosmiche, con le luci più soffuse e i cuori consolati delle melodie di “relax” meditativo, con il profumo dell’incenso e gli occhi dolcemente socchiusi. In Andreoli invece gli occhi sono spalancati dalla paura, c’è una cacofonia del caos e una puzza di carne umana senza alcun trucco. Certo, è un tratto personale dello scrittore che spesso diventa stancante, può sconvolgere e può non piacere. Ma penso che nelle zone della serenità e della pace a cui molti oggi cercano di abbordare si arrivi solo attraversando la valle oscura della realtà. All’amore della saggezza (filosofia) non si può arrivare solo attraverso l’incanto, perché nella vita non si può evitare anche il disincanto radicale. Per evitare l’illusione bisogna passare attraverso la disillusione. La sofferenza, la malattia, la vecchiaia e la morte sono le tappe obbligatorie del cammino di ogni Buddha (illuminato) di tutti i tempi. Il mondo letterario di Andreoli è caratterizzato dalla tragedia folle e offre un ritratto della società contemporanea con cui bisogna fare i conti nel cammino della saggezza. Non credo che Andreoli sia un saggio o possa fare da guida, ma la frequentazione dei suoi scritti può sconvolgere e aprire alle ricerche spiritualmente più serie e profonde. Questo scrittore è una voce del lato oscuro della realtà e la sua opera fa da avvertimento di che cosa potrebbe succedere a noi e al nostro mondo se non intraprendessimo un seria ricerca esistenziale.
La quarta ragione è spirituale. Grazie ai miei interessi personali, con particolare attenzione ho cercato di tracciare alcuni tratti religiosi e teologici di Andreoli. È un caso interessante e particolare. Questo scrittore, pur dichiarandosi “non credente”, si pronuncia spesso sulla spiritualità, dialoga con il mondo religioso e nella sua prospettiva laica parla di un “Dio che non c’è”. È una voce tipica di una corrente oggi diffusa. Cresciuto nel cattolicesimo italiano del primo Novecento, non si ritrova più né con le istituzioni religiose tradizionali, né con i nuovi movimenti religiosi e, non riuscendo a liberarsi da un “imprinting” catechetico del passato, si sente spaesato, cerca, si arrabbia, si disgusta, si rattrista. Andreoli, con la sua tragedia folle e disperazione cupa, cerca e, credo, trova un raggio di luce nella tenerezza e nella fragilità delle relazioni umane e nella quiete solitaria della natura in cui regolarmente fugge e di cui poi scrive con sensibilità e attenzione poetica. Ho trovato affinità del suo pensiero con le intuizioni dei mistici che parlano dell’esperienza negativa o apofatica di Dio o del nulla della tradizione vedica e buddhista. Non so se Andreoli stesso ha varcato queste porte, ma almeno ha osato bussare in esse e i suoi libri lo testimoniano e ci spingono a farlo.
© Maciej Bielawski (2013)