"La confidenza. Analisi di un sentimento" - un saggio del "primo" Panikkar
“La confidencia. Analisis de un sentimiento” era un articolo di una ventina di pagine, pubblicato da Panikkar nel 1963 e che ora, mezzo secolo dopo, è apparso nella traduzione italiana, a cura di Milena Carrara Pavan, in forma di libretto La confidenza. Analisi di un sentimento (Jaca Book 2013, pp. 57). Questo breve saggio è un affabile incoraggiamento a confidarsi con gli altri e a lasciarsi prendere dal sentimento della confidenza, grazie a cui l’uomo può sentirsi più autenticamente se stesso, perché secondo l’autore si diventa se stessi proprio confidandosi con gli altri. In fondo, niente di nuovo e niente di speciale, ma espresso con cuore, semplicità e densità tipici per Panikkar. Ogni lettore di questo autore accoglierà questo piccolo gioiello con gratitudine.
Oltre ad apprezzare questo libretto, mi sono permesso di leggerlo in riferimento alla vita del filosofo di Tavertet e in relazione alla sua intera opera. Servendomi delle regole ermeneutiche dello stesso Panikkar, che parla della triade testo-pretesto-contesto, direi che La confidenza si debba leggere prendendo in considerazione il suo pretesto radicato nella biografia del filosofo e inserendolo nel contesto della sua intera opera. A suo tempo ho spiegato nel mio Panikkar. Un uomo e il suo pensiero (Fazi Editore 2013) come e perché nel caso di questo pensatore ogni suo testo bisogna leggere in riferimento alla sua vita che è la chiave indispensabile per schiudere i contenuti del suo pensiero che poi a loro volta fanno vedere anche la sua esistenza in una nuova luce. Questa interindipendenza tra la vita e il pensiero è fondamentale per la comprensione e la ricezione della visione di Panikkar e indica la via del dialogo con questo autore che ha ancora una lunga strada da percorrere. Ne siamo appena all’inizio. Una riflessione su La confidenza offre la possibilità di fare un passo in avanti in questa direzione.
Grazie alla nota editoriale “Questo studio ha preceduto di oltre due anni la prima stesura di una teoria sul sentimento: F.H. Jacobi y la filosofía del sentimiento in “Las Ciencias” XIII,1, Madrid 1948, pp. 157-223, rimanendo inedito fino alla pubblicazione nella “Rivista de Filosofía”, XXII, 84-85, Madrid 1963, pp. 43-62, con piccole correzioni” possiamo supporre che il testo de La confidenza, pur stampato nel 1963, sia stato scritto nel 1946. Questo sarebbe dunque uno dei primi saggi di Panikkar e perciò è prezioso.
Mi chiedo: il manoscritto di questo testo esiste ancora negli archivi di Panikkar? Sarebbe possibile uno studio comparativo tra l’originale e la versione stampata sulla cui base è uscita ora la traduzione italiana? Quali erano le “piccole correzioni” introdotte dall’autore diciassette anni più tardi quando il testo andava in stampa? Ogni tanto proprio le “piccole correzioni” possono essere molto rivelatorie. Seguendole si potrebbe imparare qualcosa sull’evoluzione del pensiero di Panikkar tra 1946 e 1963. Sarebbe bello avere le risposte a queste domande che aumenterebbero ancora il valore della pubblicazione e servirebbero alla migliore comprensione del pensiero di Panikkar. Purtroppo, per il momento, se ne può parlare solo al condizionale. Ma anche quello che si riesce a capire sulla base del materiale a noi disponibile è abbastanza interessante.
A metà degli anni quaranta Raimon Panikkar (o piuttosto Raimundo Panikér, visto che in questo periodo il filosofo era iscritto all’anagrafe e ancora così era solito chiamarsi) si dedicò, tra l’altro, allo studio di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819). Penso anche che negli ambienti intellettuali barcellonesi e madrileni in cui negli anni quaranta si muoveva, Panikkar fosse uno dei pochi che studiava questo pensatore tedesco e le sue ricerche potevano essere viste come originali. Panikkar ha concluso questi suoi interessi con un saggio sulla filosofia del sentimento che in Spagna è apparso come articolo e in Argentina come libro, il primo in assoluto di questo scrittore.Sembra che a margine di questi studi Panikkar abbia scritto anche il breve saggio sulla confidenza. Perché? Conoscendo le tendenze di questo uomo, in cui ogni esperienza si faceva pensiero, suppongo che proprio in questo periodo lui stesso sperimentasse la confidenza, sia come uno che si confidava con qualcuno sia come confidente per gli altri.
Penso che l’esperienza della confidenza, su cui riflette nel suo testo, Panikkar l’abbia fatta principalmente all’interno della comunità dell’Opus Dei, l’organizzazione di cui, in quel periodo, faceva parte e in cui la pratica della direzione spirituale, ossia della confidenza, era ben presente. Lascio da parte le speculazioni sulle persone a cui Raimundo poteva confidarsi e quelle che potevano confidarsi con lui, perché in questo momento non abbiamo materiali autorevoli su cui indagare.
È possibile invece, penso, cogliere l’oggetto centrale delle sue confidenze su cui cercava di fare luce. Si trattava del suo sacerdozio. A metà degli anni quaranta a Raimundo Panikér era stato proposto di diventare sacerdote all’interno della Società Sacerdotale della Santa Croce legata all’Opus Dei. Accettare questo invito non era stato facile per Panikkar, perché i suoi famigliari non ne erano entusiasti, ma i superiori dell’Opus Dei, a cui era profondamente legato, insistevano. Lui esitava e il suo stato d’animo, anche se non esplicitamente collegato alle esperienze personali, si può intuire molto bene quando scrive: “Mi sento indeciso di fronte a un’importante decisione da prendere: scelta di una o di un’altra carriera, di questa o di quella vocazione, attività, ecc. Nessuno meglio di me ha in mano tutti gli elementi, tanto più che ho anche consultato persone competenti che mi hanno fornito chiarimenti sui dati e sulle conseguenze di quella decisione (i consigli di un padre, di un direttore spirituale, di un esperto, di un amico, e così via, non appartengono in sé e per sé alla confidenza: tutti hanno risposto alle mie domande e mi hanno dato il loro parere, ma non hanno innescato il tipico sentimento confidenziale che stiamo esaminando), eppure, pur sapendo tutto, non so che cosa fare, non «vedo»” (p. 41-42). Poi Panikkar si era confidato con qualcuno e aveva capito che la sua era vocazione sacerdotale. Il 29 settembre 1946 fu ordinato presbitero della Chiesa romano-cattolica.
Panikkar però ha lasciato il testo in forma di manoscritto, non dandolo alla stampa, forse perché il suo contenuto gli sembrava troppo personale o forse perché, a causa del coinvolgimento emozionale, gli mancava la distanza intellettuale necessaria per poter valutare lo scritto. Del resto questa è stata la sua prassi molto frequente. Il filosofo di Tavertet di solito non si precipitava con la pubblicazione dei suoi testi. Tanti di questi erano lasciati a “stagionare” a lungo, ogni tanto vi ritornava, correggeva, per poi, chissà sulla base di quale criterio, pubblicarli. E così è successo col testo di cui parlo qui. Tra la prima stesura e la pubblicazione de La confidenza erano passati ben diciassette anni, in cui Panikkar aveva vissuto in Spagna, a Roma e in India, incontrando nuove persone, accumulando esperienze, aumentando le sue conoscenze e approfondendo le sue riflessioni. All’inizio degli anni sessanta si trovava a Roma e, con l’aiuto di Enrico Castelli, cercava di ottenere la libera docenza all’università di Roma. Gli servivano delle pubblicazioni, perciò riprese il testo La confidenza, lo trovò soddisfacente, vi apportò alcune correzioni e lo mandò a Madrid alla “Rivista di filosofía” dove l’articolo venne pubblicato nel 1963. Questa mi sembra un’ ipotesi plausibile che regge fino a prova contraria.
Anche prendendo in considerazione la distanza che separa la creazione del testo nel 1946 e la sua stampa nel 1963 con alcune “piccole correzioni”, si può affermare che La confidenza appartiene al “primo Panikkar”. Parlare del “primo Panikkar” e del “secondo Panikkar” è un cliché spesso adoperato a proposito dei pensatori, basti pensare a Heidegger o Rahner, è un modo per indicare una evoluzione o una svolta sia esistenziale sia intellettuale di qualche autore. Tale distinzione non deve far pensare che esista una rottura radicale tra il “primo” e il “secondo”, non negando la continuità e non escludendo la presenza degli elementi del “primo” nel “secondo” e del “secondo” nel “primo”. Nel saggio La confidenza si possono intravedere alcuni “tratti perenni” o “strutture costanti” presenti sia nel “primo” come nel “secondo Panikkar”. Ci sono però anche alcuni tratti tipici soltanto del “primo Panikkar” che vale la pena di osservare per notare l’evoluzione che è avvenuta in questo pensatore. Senza ora entrare nella questione del passaggio (quando, perché, ecc.) dal “primo” al “secondo”, segnalo che questo processo, esteso nel tempo e non limitato ad un unico momento, si è intensificato in Panikkar a metà degli anni sessanta.
Primo tratto caratteristico che attraversa tutta l’opera di Panikkar e presente ne La confidenza è la relazione tra la molteplicità e l’unità presenti nella realtà presa nel suo insieme come in ogni suo frammento. Iniziando l’analisi della confidenza il filosofo scrive: “Ogni uomo è una sorta di centro che emette innumerevoli onde delle più disparate frequenze. Alcune di esse sono prodotte dal diapason intellettuale, altre sorgono dalle corde sentimentali, con tonalità più basse, e così via. Una infinità di queste radiazioni da noi emesse sfugge non solo alla nostra volontà ma anche alla nostra consapevolezza. […] L’uomo nonostante la sua complessità, è anche certamente unità che partecipa per intero a ogni sua manifestazione, per quanto piccola” (pp. 17-18). Sembra che Panikkar, percependo qualsiasi cosa immediatamente, ne vedesse la sua complessità e unità. Ogni aspetto della realtà era per lui complesso in sé e collegato con molti altri elementi e fattori della realtà. Ma tutti gli elementi di questa complessità erano in relazione tra di loro e perciò uniti. Nel caso della confidenza Panikkar ne dimostra le diverse dimensioni, i legami con altri sentimenti come fiducia, amicizia, intimità, simpatia e comprensione, per passare poi ai suoi diversi livelli: antropologico, ontologico e teologico. Per lui tutto era plurale e unito grazie alla relazionalità. Ogni frammento era visto nella sua relazione con tutto e il tutto non distruggeva l’unicità di ogni frammento. Il fatto di cogliere questo tratto presente in uno dei suoi primi scritti mi permette di dire che la complessità, ossia la pluralità della realtà, come anche la relazionalità di tutto con tutto, sono i tratti costanti del suo pensiero e formano una struttura estesa a tutta la sua opera.
Una delle strutture portanti su cui regge l’intero edificio dell’opera di questo pensatore è la convinzione che le cose e gli aspetti della realtà vadano distinti, ma non separati. È la mente che separa e sulla base di tale razionalismo l’uomo è incline anche a creare le divisioni nella realtà. Panikkar pensava che questo fosse profondamente sbagliato. Per lui la realtà non è divisa, è armoniosamente unita in tutti i suoi frammenti ed è solo la mente che fa distinzioni. Lungo tutta la sua opera si sente come un’eco o come un mantra l’espressione “distinguere, ma non separare”. Col tempo lui ha perfezionato questa “legge” con l’aiuto della tradizione dell’advaita e si è avviato anche a riflettere sulla relazione tra pensiero (che separa) e realtà (che non è divisa). Ma già in questo scritto giovanile, parlando della confidenza e dei vari sentimenti che la accompagnano, scrive: “Tutta la gamma affettiva cui abbiamo accennato non può essere confusa con il sentimento del quale ci occupiamo, ma non ne può neanche essere troppo separata, dato che formano un tutt’uno” (p. 26). Qui la distinzione viene fatta tra confusione e separazione. Il linguaggio è un po’ diverso e la riflessione non ancora approfondita, ma il principio già esiste.
Allineata con questo aspetto si colloca la convinzione Panikkariana che la logica fa parte della realtà, ma la realtà non può e non deve essere mai ridotta all’aspetto logico. Questo, per il filosofo di Tavertet, è l’errore del razionalismo, a cui lui si opponeva mettendo in evidenza il lato mistico della vita che la rende aperta e libera. In questo saggio, parlando della comprensione di se stessi attraverso la confidenza, afferma che “anche se questa facoltà contiene un elemento razionale, non può essere una evidenza logica, dato che non è scritto da nessuna parte che l’uomo sia sempre coerente in tutte le azioni della sua vita” (p. 18). Panikkar ha sempre sostenuto il primato della vita che non può essere imprigionata dalla logica e dalla ragione. Di nuovo bisogna affermare che tale convinzione si è cristallizzata in lui molto presto.
L’ultimo elemento “perenne” che vorrei sottolineare è l’ottimismo consapevolmente scelto e praticato. All’inizio del saggio sulla confidenza Panikkar parla di un certo esistenzialismo che ha accentuato “gli aspetti prevalentemente negativi, come il disgusto, la nausea, l’odio, la vergogna, l’angoscia, l’indifferenza, tralasciando vibrazioni sentimentali eminentemente positive che invece non possono essere ignorate se si vuole pervenire a una comprensione integrale della natura umana” (pp. 12-13). Mi sembra che in Panikkar ci fosse qualcosa che spontaneamente lo indirizzava nella contemplazione degli aspetti positivi della realtà. Lui conosceva il lato morboso e deprimente della vita, ma non vi voleva dedicare molta attenzione nei suoi scritti. Si colloca al lato opposto dell’esistenzialismo per esempio di Sartre per cui l’inferno erano proprio gli altri. Per Panikkar, il relazionarsi, in questo caso il confidarsi, con gli altri era qualcosa di buono e salvifico. Si potrebbe parlare del lato luminoso della sua mentalità che emerge lungo tutta la sua vita e da molte sue pagine.
Bisogna pure osservare alcuni aspetti che appartengono chiaramente al “primo Panikkar” che col tempo lui stesso ha sia modificato sia superato.
Il primo aspetto riguarda il linguaggio di Panikkar che in questo scritto è esclusivamente occidentale e cristiano, biblico e scolastico. In questo testo non esiste, come nei suoi scritti successivi, il tipico miscuglio delle tradizioni filosofiche e religiose di varie culture in cui Agostino è accanto a Sankara e la Bibbia ebraica è citata al pari dei Veda. La confidenza fu scritto negli anni quaranta quando Panikkar non era ancora a conoscenza della tradizione induista che è stata uno dei fattori che hanno contribuito al passaggio dal “primo” al “secondo Panikkar”.
In secondo luogo, vorrei notare che Panikkar finisce il suo breve saggio scrivendo della “realtà teandrica” (p. 57). Lo fa parlando di Cristo. E anche se prima ancora accentua il “paradosso cosmico che governa come legge fondamentale i processi del mondo”, nel suo scritto non appare ancora né la parola cosmoteandrismo né una percezione della realtà come cosmoteandrica. E anche se parlando della “struttura tripersonale dell’esistenza umana” con il suo “io-tu-lui” e finendo l’articolo con un “Epilogo teologico” che in fondo è un breve trattato sulla Trinità cristiana con la sua cadenza Padre-Figlio-Spirito, ne La confidenza non abbiamo ancora a che fare con la sensibilità e tanto meno con la teoria della “trinità radicale”. Il passaggio di Panikkar dal teandrismo al comoteandrismo e dalla Trinità cristiana alla trinità radicale, ha avuto luogo a metà degli anni sessanta.
L’ultimo aspetto che vale la pena sottolineare è l’esplicito teocentrismo con cui Panikkar desidera combattere l’eccessivo antropocentrismo. Scrive: “Se però ci poniamo in una giusta prospettiva delle cose, che non sia la visione antropocentrica, ma quella teocentrica, vedremo la ragione per cui Dio è il «mio» Dio è io sono la «Sua» creatura” (p. 56). Il teocentrismo così palese in questo scritto è confermato anche dalla sua stessa struttura e dinamica che va dalla fenomenologia (capitolo II), all’antropologia (capitolo III) e metafisica (capitolo IV), per culminare nella teologia della confidenza (capitolo V). Tale teocentrismo è un tratto tipico del “primo Panikkar”. Più tardi il filosofo di Tavertet rinuncerà a qualsiasi “centrismo”, sia esso teo-, sia antropo-, sia cosmo-, e opterà per l’armonia e perichoresis di queste tre dimensioni.
Oltre a tutte queste riflessioni su una certa evoluzione del pensiero di Panikkar, vorrei sottolineare che La confidenza abbonda di molte riflessioni profonde ed espressioni quasi poetiche così tipiche per questo scrittore che ne rendono la lettura piacevole. Il secondo capitolo, per esempio, inizia con la frase: “Ogni uomo è una sorta di centro che emette innumerevoli onde delle più disparate frequenze” (p. 17). Di sicuro Panikkar ne è esempio per eccellenza e io qui ho colto soltanto alcune di queste frequenze.
© MaciejBielawski (2013)
Grazie alla nota editoriale “Questo studio ha preceduto di oltre due anni la prima stesura di una teoria sul sentimento: F.H. Jacobi y la filosofía del sentimiento in “Las Ciencias” XIII,1, Madrid 1948, pp. 157-223, rimanendo inedito fino alla pubblicazione nella “Rivista de Filosofía”, XXII, 84-85, Madrid 1963, pp. 43-62, con piccole correzioni” possiamo supporre che il testo de La confidenza, pur stampato nel 1963, sia stato scritto nel 1946. Questo sarebbe dunque uno dei primi saggi di Panikkar e perciò è prezioso.
Mi chiedo: il manoscritto di questo testo esiste ancora negli archivi di Panikkar? Sarebbe possibile uno studio comparativo tra l’originale e la versione stampata sulla cui base è uscita ora la traduzione italiana? Quali erano le “piccole correzioni” introdotte dall’autore diciassette anni più tardi quando il testo andava in stampa? Ogni tanto proprio le “piccole correzioni” possono essere molto rivelatorie. Seguendole si potrebbe imparare qualcosa sull’evoluzione del pensiero di Panikkar tra 1946 e 1963. Sarebbe bello avere le risposte a queste domande che aumenterebbero ancora il valore della pubblicazione e servirebbero alla migliore comprensione del pensiero di Panikkar. Purtroppo, per il momento, se ne può parlare solo al condizionale. Ma anche quello che si riesce a capire sulla base del materiale a noi disponibile è abbastanza interessante.
A metà degli anni quaranta Raimon Panikkar (o piuttosto Raimundo Panikér, visto che in questo periodo il filosofo era iscritto all’anagrafe e ancora così era solito chiamarsi) si dedicò, tra l’altro, allo studio di Friedrich Heinrich Jacobi (1743-1819). Penso anche che negli ambienti intellettuali barcellonesi e madrileni in cui negli anni quaranta si muoveva, Panikkar fosse uno dei pochi che studiava questo pensatore tedesco e le sue ricerche potevano essere viste come originali. Panikkar ha concluso questi suoi interessi con un saggio sulla filosofia del sentimento che in Spagna è apparso come articolo e in Argentina come libro, il primo in assoluto di questo scrittore.Sembra che a margine di questi studi Panikkar abbia scritto anche il breve saggio sulla confidenza. Perché? Conoscendo le tendenze di questo uomo, in cui ogni esperienza si faceva pensiero, suppongo che proprio in questo periodo lui stesso sperimentasse la confidenza, sia come uno che si confidava con qualcuno sia come confidente per gli altri.
Penso che l’esperienza della confidenza, su cui riflette nel suo testo, Panikkar l’abbia fatta principalmente all’interno della comunità dell’Opus Dei, l’organizzazione di cui, in quel periodo, faceva parte e in cui la pratica della direzione spirituale, ossia della confidenza, era ben presente. Lascio da parte le speculazioni sulle persone a cui Raimundo poteva confidarsi e quelle che potevano confidarsi con lui, perché in questo momento non abbiamo materiali autorevoli su cui indagare.
È possibile invece, penso, cogliere l’oggetto centrale delle sue confidenze su cui cercava di fare luce. Si trattava del suo sacerdozio. A metà degli anni quaranta a Raimundo Panikér era stato proposto di diventare sacerdote all’interno della Società Sacerdotale della Santa Croce legata all’Opus Dei. Accettare questo invito non era stato facile per Panikkar, perché i suoi famigliari non ne erano entusiasti, ma i superiori dell’Opus Dei, a cui era profondamente legato, insistevano. Lui esitava e il suo stato d’animo, anche se non esplicitamente collegato alle esperienze personali, si può intuire molto bene quando scrive: “Mi sento indeciso di fronte a un’importante decisione da prendere: scelta di una o di un’altra carriera, di questa o di quella vocazione, attività, ecc. Nessuno meglio di me ha in mano tutti gli elementi, tanto più che ho anche consultato persone competenti che mi hanno fornito chiarimenti sui dati e sulle conseguenze di quella decisione (i consigli di un padre, di un direttore spirituale, di un esperto, di un amico, e così via, non appartengono in sé e per sé alla confidenza: tutti hanno risposto alle mie domande e mi hanno dato il loro parere, ma non hanno innescato il tipico sentimento confidenziale che stiamo esaminando), eppure, pur sapendo tutto, non so che cosa fare, non «vedo»” (p. 41-42). Poi Panikkar si era confidato con qualcuno e aveva capito che la sua era vocazione sacerdotale. Il 29 settembre 1946 fu ordinato presbitero della Chiesa romano-cattolica.
Panikkar però ha lasciato il testo in forma di manoscritto, non dandolo alla stampa, forse perché il suo contenuto gli sembrava troppo personale o forse perché, a causa del coinvolgimento emozionale, gli mancava la distanza intellettuale necessaria per poter valutare lo scritto. Del resto questa è stata la sua prassi molto frequente. Il filosofo di Tavertet di solito non si precipitava con la pubblicazione dei suoi testi. Tanti di questi erano lasciati a “stagionare” a lungo, ogni tanto vi ritornava, correggeva, per poi, chissà sulla base di quale criterio, pubblicarli. E così è successo col testo di cui parlo qui. Tra la prima stesura e la pubblicazione de La confidenza erano passati ben diciassette anni, in cui Panikkar aveva vissuto in Spagna, a Roma e in India, incontrando nuove persone, accumulando esperienze, aumentando le sue conoscenze e approfondendo le sue riflessioni. All’inizio degli anni sessanta si trovava a Roma e, con l’aiuto di Enrico Castelli, cercava di ottenere la libera docenza all’università di Roma. Gli servivano delle pubblicazioni, perciò riprese il testo La confidenza, lo trovò soddisfacente, vi apportò alcune correzioni e lo mandò a Madrid alla “Rivista di filosofía” dove l’articolo venne pubblicato nel 1963. Questa mi sembra un’ ipotesi plausibile che regge fino a prova contraria.
Anche prendendo in considerazione la distanza che separa la creazione del testo nel 1946 e la sua stampa nel 1963 con alcune “piccole correzioni”, si può affermare che La confidenza appartiene al “primo Panikkar”. Parlare del “primo Panikkar” e del “secondo Panikkar” è un cliché spesso adoperato a proposito dei pensatori, basti pensare a Heidegger o Rahner, è un modo per indicare una evoluzione o una svolta sia esistenziale sia intellettuale di qualche autore. Tale distinzione non deve far pensare che esista una rottura radicale tra il “primo” e il “secondo”, non negando la continuità e non escludendo la presenza degli elementi del “primo” nel “secondo” e del “secondo” nel “primo”. Nel saggio La confidenza si possono intravedere alcuni “tratti perenni” o “strutture costanti” presenti sia nel “primo” come nel “secondo Panikkar”. Ci sono però anche alcuni tratti tipici soltanto del “primo Panikkar” che vale la pena di osservare per notare l’evoluzione che è avvenuta in questo pensatore. Senza ora entrare nella questione del passaggio (quando, perché, ecc.) dal “primo” al “secondo”, segnalo che questo processo, esteso nel tempo e non limitato ad un unico momento, si è intensificato in Panikkar a metà degli anni sessanta.
Primo tratto caratteristico che attraversa tutta l’opera di Panikkar e presente ne La confidenza è la relazione tra la molteplicità e l’unità presenti nella realtà presa nel suo insieme come in ogni suo frammento. Iniziando l’analisi della confidenza il filosofo scrive: “Ogni uomo è una sorta di centro che emette innumerevoli onde delle più disparate frequenze. Alcune di esse sono prodotte dal diapason intellettuale, altre sorgono dalle corde sentimentali, con tonalità più basse, e così via. Una infinità di queste radiazioni da noi emesse sfugge non solo alla nostra volontà ma anche alla nostra consapevolezza. […] L’uomo nonostante la sua complessità, è anche certamente unità che partecipa per intero a ogni sua manifestazione, per quanto piccola” (pp. 17-18). Sembra che Panikkar, percependo qualsiasi cosa immediatamente, ne vedesse la sua complessità e unità. Ogni aspetto della realtà era per lui complesso in sé e collegato con molti altri elementi e fattori della realtà. Ma tutti gli elementi di questa complessità erano in relazione tra di loro e perciò uniti. Nel caso della confidenza Panikkar ne dimostra le diverse dimensioni, i legami con altri sentimenti come fiducia, amicizia, intimità, simpatia e comprensione, per passare poi ai suoi diversi livelli: antropologico, ontologico e teologico. Per lui tutto era plurale e unito grazie alla relazionalità. Ogni frammento era visto nella sua relazione con tutto e il tutto non distruggeva l’unicità di ogni frammento. Il fatto di cogliere questo tratto presente in uno dei suoi primi scritti mi permette di dire che la complessità, ossia la pluralità della realtà, come anche la relazionalità di tutto con tutto, sono i tratti costanti del suo pensiero e formano una struttura estesa a tutta la sua opera.
Una delle strutture portanti su cui regge l’intero edificio dell’opera di questo pensatore è la convinzione che le cose e gli aspetti della realtà vadano distinti, ma non separati. È la mente che separa e sulla base di tale razionalismo l’uomo è incline anche a creare le divisioni nella realtà. Panikkar pensava che questo fosse profondamente sbagliato. Per lui la realtà non è divisa, è armoniosamente unita in tutti i suoi frammenti ed è solo la mente che fa distinzioni. Lungo tutta la sua opera si sente come un’eco o come un mantra l’espressione “distinguere, ma non separare”. Col tempo lui ha perfezionato questa “legge” con l’aiuto della tradizione dell’advaita e si è avviato anche a riflettere sulla relazione tra pensiero (che separa) e realtà (che non è divisa). Ma già in questo scritto giovanile, parlando della confidenza e dei vari sentimenti che la accompagnano, scrive: “Tutta la gamma affettiva cui abbiamo accennato non può essere confusa con il sentimento del quale ci occupiamo, ma non ne può neanche essere troppo separata, dato che formano un tutt’uno” (p. 26). Qui la distinzione viene fatta tra confusione e separazione. Il linguaggio è un po’ diverso e la riflessione non ancora approfondita, ma il principio già esiste.
Allineata con questo aspetto si colloca la convinzione Panikkariana che la logica fa parte della realtà, ma la realtà non può e non deve essere mai ridotta all’aspetto logico. Questo, per il filosofo di Tavertet, è l’errore del razionalismo, a cui lui si opponeva mettendo in evidenza il lato mistico della vita che la rende aperta e libera. In questo saggio, parlando della comprensione di se stessi attraverso la confidenza, afferma che “anche se questa facoltà contiene un elemento razionale, non può essere una evidenza logica, dato che non è scritto da nessuna parte che l’uomo sia sempre coerente in tutte le azioni della sua vita” (p. 18). Panikkar ha sempre sostenuto il primato della vita che non può essere imprigionata dalla logica e dalla ragione. Di nuovo bisogna affermare che tale convinzione si è cristallizzata in lui molto presto.
L’ultimo elemento “perenne” che vorrei sottolineare è l’ottimismo consapevolmente scelto e praticato. All’inizio del saggio sulla confidenza Panikkar parla di un certo esistenzialismo che ha accentuato “gli aspetti prevalentemente negativi, come il disgusto, la nausea, l’odio, la vergogna, l’angoscia, l’indifferenza, tralasciando vibrazioni sentimentali eminentemente positive che invece non possono essere ignorate se si vuole pervenire a una comprensione integrale della natura umana” (pp. 12-13). Mi sembra che in Panikkar ci fosse qualcosa che spontaneamente lo indirizzava nella contemplazione degli aspetti positivi della realtà. Lui conosceva il lato morboso e deprimente della vita, ma non vi voleva dedicare molta attenzione nei suoi scritti. Si colloca al lato opposto dell’esistenzialismo per esempio di Sartre per cui l’inferno erano proprio gli altri. Per Panikkar, il relazionarsi, in questo caso il confidarsi, con gli altri era qualcosa di buono e salvifico. Si potrebbe parlare del lato luminoso della sua mentalità che emerge lungo tutta la sua vita e da molte sue pagine.
Bisogna pure osservare alcuni aspetti che appartengono chiaramente al “primo Panikkar” che col tempo lui stesso ha sia modificato sia superato.
Il primo aspetto riguarda il linguaggio di Panikkar che in questo scritto è esclusivamente occidentale e cristiano, biblico e scolastico. In questo testo non esiste, come nei suoi scritti successivi, il tipico miscuglio delle tradizioni filosofiche e religiose di varie culture in cui Agostino è accanto a Sankara e la Bibbia ebraica è citata al pari dei Veda. La confidenza fu scritto negli anni quaranta quando Panikkar non era ancora a conoscenza della tradizione induista che è stata uno dei fattori che hanno contribuito al passaggio dal “primo” al “secondo Panikkar”.
In secondo luogo, vorrei notare che Panikkar finisce il suo breve saggio scrivendo della “realtà teandrica” (p. 57). Lo fa parlando di Cristo. E anche se prima ancora accentua il “paradosso cosmico che governa come legge fondamentale i processi del mondo”, nel suo scritto non appare ancora né la parola cosmoteandrismo né una percezione della realtà come cosmoteandrica. E anche se parlando della “struttura tripersonale dell’esistenza umana” con il suo “io-tu-lui” e finendo l’articolo con un “Epilogo teologico” che in fondo è un breve trattato sulla Trinità cristiana con la sua cadenza Padre-Figlio-Spirito, ne La confidenza non abbiamo ancora a che fare con la sensibilità e tanto meno con la teoria della “trinità radicale”. Il passaggio di Panikkar dal teandrismo al comoteandrismo e dalla Trinità cristiana alla trinità radicale, ha avuto luogo a metà degli anni sessanta.
L’ultimo aspetto che vale la pena sottolineare è l’esplicito teocentrismo con cui Panikkar desidera combattere l’eccessivo antropocentrismo. Scrive: “Se però ci poniamo in una giusta prospettiva delle cose, che non sia la visione antropocentrica, ma quella teocentrica, vedremo la ragione per cui Dio è il «mio» Dio è io sono la «Sua» creatura” (p. 56). Il teocentrismo così palese in questo scritto è confermato anche dalla sua stessa struttura e dinamica che va dalla fenomenologia (capitolo II), all’antropologia (capitolo III) e metafisica (capitolo IV), per culminare nella teologia della confidenza (capitolo V). Tale teocentrismo è un tratto tipico del “primo Panikkar”. Più tardi il filosofo di Tavertet rinuncerà a qualsiasi “centrismo”, sia esso teo-, sia antropo-, sia cosmo-, e opterà per l’armonia e perichoresis di queste tre dimensioni.
Oltre a tutte queste riflessioni su una certa evoluzione del pensiero di Panikkar, vorrei sottolineare che La confidenza abbonda di molte riflessioni profonde ed espressioni quasi poetiche così tipiche per questo scrittore che ne rendono la lettura piacevole. Il secondo capitolo, per esempio, inizia con la frase: “Ogni uomo è una sorta di centro che emette innumerevoli onde delle più disparate frequenze” (p. 17). Di sicuro Panikkar ne è esempio per eccellenza e io qui ho colto soltanto alcune di queste frequenze.
© MaciejBielawski (2013)