Come nasce un'icona
Materia
La storia di ogni icona inizia con seme caduto in terra, che si sviluppa, cresce, diventa albero per poi essere tagliato e segato in assi. Ogni tanto compro tali assi da falegnami, ma mi piace di più trovarle tra gli scarti. Cerco dunque vecchie porte o frammenti di mobili, che, lo so, mi aspettano in qualche angolo del mondo. Le raccolgo con tenerezza e le preparo perché diventino icone. |
Questo processo richiede una cura che può
durare più del tempo dedicato alla pittura nel senso stretto. Facendolo, sento
il fruscio dei rami risuonare silenziosamente tra le mie dita e immagino le
storie di cui questi pezzi di legno possono essere impregnati: dita che li
hanno toccati, spalle o piedi che vi sono stati appoggiati, voci e silenzi che
hanno sentito, grazie e disgrazie che li hanno riguardati. Ogni asse su cui
dipingo mi collega con il ritmo della natura e con la storia degli uomini. Mi
sembra molto bello poter “iconizzare”, cioè trasformare questi pezzi di legno
in icone, per un periodo, breve o lungo che sia, prima che scompaiano assorbite
dal perenne processo della nascita e della morte. Le icone sono i lampi
dell’eterno che risplendono per un po’ nel tessuto della realtà.
L’aspetto della concretezza materiale nel fare l’icona è per me gioioso e gratificante. Perciò preparo le assi da solo e questo lavoro è in me strettamente legato con le più sublimi sfumature coloristiche, pennellate e rifiniture.
Con il legno sono connessi molti altri elementi materiali di cui un’icona è fatta: colle, gessi, colori di vario tipo, solventi, acqua, oro, vernici che vengono applicati con l’aiuto di pennelli, cotone, pezze di stoffa, aghi, ecc. Insomma, l’icona è un insieme di molti elementi e il dipingere ha qualcosa di artigianale, che si impara col tempo e che semplicemente bisogna “saper fare”. A questo si aggiunge anche qualcosa di alchimico, perché dipingere è un processo misterioso durante il quale la materia si spiritualizza e lo spirito si incarna. Si spera che le luci di queste trasformazioni avvolgano il pittore e anche chi contempla le icone.
Pensiero
In secondo luogo entra nel gioco la cultura che è l’insieme dei fattori umani segnati dal pensiero. In altre parole l’icona appartiene ad una tradizione. Si può parlare di una convenzione, di un canone, di una teoria o dottrina, di una simbologia. Io, pur conoscendo, praticando e apprezzando altri generi e convenzioni artistiche, principalmente dipingo le icone, per ragioni che non riesco a comprendere a fondo. Dipingendo qualsiasi cosa tendo verso l’espressività e la tematica iconica. Alla base di questa mia tendenza sta senza dubbio la mia provenienza geografica, la mia formazione culturale e l’interesse per la mistica coltivato per decenni attraverso letture e meditazioni, tra cui il posto privilegiato è occupato dalla mistica bizantina, simbolicamente rappresentata dalla Filocalia. Oserei dire che il mio cuore è iconico e filocalico e io mi trovo assai comodo in questa corrente.
La tradizione è legata alla riflessione, perciò il mio dipingere le icone è accompagnato dalle letture dei libri che ne parlano. Ma non solo. Ho visto molte gallerie d’arte e musei, ho visitato chiese antiche e moderne riempite di icone. Ho insegnato l’iconografia nelle università e ne ho scritto libri che mi hanno permesso di approfondire l’argomento.
Quando guardo le icone mi sento catturato da una o dall’altra di esse che mi sussurra il suo desiderio di essere dipinta anche da me. Mi colpisce un tema o un elemento, ad esempio un cerchio, una combinazione di colori, una pennellata e ancora qualcos’altro che non riesco e non ho bisogno di capire. Mentre contemplo le icone, certo le vedo, ma ancora di più mi sento visto da esse e penetrato dalla loro presenza che lascia in me le intuizioni che prima o poi, lo so, si faranno pittura.
Mi inserisco nella tradizione spirituale dell’icona e nella sua convenzione artistica, ma non riesco a fare delle semplici copie, perché aggiungo qualcosa di mio, incominciando dalle tecniche che uso. Nella pittura mi servo di tempere e di colori acrilici, liberamente mescolati insieme. Sono convinto che la tradizione iconica è viva quando si cercano nuove vie dell’espressione. L’arte, anche questa dell’icona, non è archeologia, ma vita e non va confusa con il “musealismo” che è rispettoso, ma sterile. Tradizione non vuol dire ripetere, ma assumere, trascendere e creativamente portare avanti.
Spirito
Dipingo perché sono affascinato dall’invisibile. Paradossalmente è proprio l’esperienza dell’invisibile che mi invia verso le forme geometriche e le macchie di colore ben precise. L’invisibilità per l’icona è come il silenzio per la musica e il vuoto per la parola. In altre termini, dipingo un’icona perché ho toccato o sono stato toccato dall’invisibile e desidero comunicare questa esperienza. Ogni tanto però dipingo anche perché anelo a questa invisibilità e la cerco nel processo creativo. Ancora altre volte lo faccio perché l’invisibile si è fatto troppo denso in me e desidero, attraverso il ponte della pittura, rientrare nel mondo. L’aspirazione di uscire dal mondo verso l’invisibile e il desiderio di essere in comunione con il mondo visibile sono le due dinamiche per mezzo di cui l’icona nasce.
Posso avere lunghi periodi in cui non dipingo, perché sono preso dall’invisibile, assorbito nei pensieri o dedicato alla meditazione silenziosa, ma sono proprio questi i tempi in cui cresce e matura l’esperienza iconica.
A casa praticamente non tengo le icone ed esse non si trovano nello studio in cui dipingo. Per dipingere ho bisogno di una mente sgombra, di una parete bianca, di un’asse liscia.
Nel periodo in cui dipingo un’icona, la penso mentre cammino, la sogno quando dormo e la medito in uno stato di semi veglia. Amo alzarmi prima dell’aurora per sedermi a terra, nell’oscurità, di fronte all’icona che dipingo e restare ad osservarla dal buio della notte: con l’arrivo graduale della luce del giorno, emergono lentamente le forme e i colori che, giorno dopo giorno, si fanno più espliciti. Questi sono per me i momenti importanti nel dipingere, anche se fatti senza il pennello in mano.
Poi, ad un tratto, sento che l’icona è finita e la lascio andare dalla mia attenzione, dal mio sguardo, dalla mia casa ed essa se ne va e io di nuovo mi immergo nell’invisibile.
Desidero aggiungere un’osservazione linguistica, ma che va ben oltre. Un certo gergo sottolinea che le icone non sono dipinte ma scritte e uno che le dipinge non è un pittore, ma un iconografo, cioè uno che scrive le icone. Si fa questa distinzione per contrassegnare un quadro da un icona, ma a me questa distinzione non piace, perché favorisce troppo la parola e il pensiero a scapito di altre dimensione dell’uomo e tragicamente lacera la realtà in sacro e in profano. Ma la forza dell’icona sta proprio nel fatto che è appunto dipinta e non scritta, simbolica e non dottrinale, intuitiva e non concettuale. Potrei ammettere di scrivere le icone solo se lo scrivere stesso fosse considerato come dipingere, come ci dice la nobile tradizione della calligrafia.
Relazione
Dipingo le icone “per”, cioè in relazione con gli altri. Quasi sempre dipingo concretamente per qualcuno o per un gruppo di persone che cerco di conoscere. In altre parole, dipingo perché un’icona mi è stata commissionata e il processo stesso della commissione, che ha le sue tappe, è molto importante. Con le persone che richiedono un’icona, quando questo è possibile, dialogo sul tema, sulle dimensioni e persino sulla tonalità dei colori. Le scelte si fanno insieme, anche se poi il processo creativo va per conto suo e il risultato non è del tutto prevedibile.
Questo include anche l’economia, ossia lo scambio delle energie. La gente paga, cioè mi offre l’energia della sua vita e del suo lavoro che si sono fatti denaro e io in cambio offro il mio tempo, il materiale necessario per fare un’icona, la mia esperienza, conoscenza e energia creativa.
Succede che dipinga solo per me e in tal caso l’intero processo creativo si svolge tra me e me e ha in sé qualcosa di meditativo. L’icona mi permette di relazionarmi a diversi strati di me in un modo diverso, nuovo, più profondo, di conoscermi e di lasciarmi conoscere per l’ignoto presente nel mio cuore.
L’icona è un mezzo di comunicazione, di comunione e il simbolo profondo della relazione tra gli uomini e le donne, tra noi e il cosmo, tra noi e la tradizione spirituale e l’intero mondo della cultura, tra il visibile e l’invisibile. Forse il mondo esiste perché siano in esso anche le icone e le tradizioni spirituali continuano perché possano apparire questi simboli dell’incontro tra il visibile e l’invisibile, perché sia vissuta l’unione armoniosa di tutto ciò, schiudendo uno spazio iconico esteso ovunque. È stupendo poter vedere il volto dell’altro come un’icona e così anche percepire la realtà intera.
©MaciejBielawski (2014)
L’aspetto della concretezza materiale nel fare l’icona è per me gioioso e gratificante. Perciò preparo le assi da solo e questo lavoro è in me strettamente legato con le più sublimi sfumature coloristiche, pennellate e rifiniture.
Con il legno sono connessi molti altri elementi materiali di cui un’icona è fatta: colle, gessi, colori di vario tipo, solventi, acqua, oro, vernici che vengono applicati con l’aiuto di pennelli, cotone, pezze di stoffa, aghi, ecc. Insomma, l’icona è un insieme di molti elementi e il dipingere ha qualcosa di artigianale, che si impara col tempo e che semplicemente bisogna “saper fare”. A questo si aggiunge anche qualcosa di alchimico, perché dipingere è un processo misterioso durante il quale la materia si spiritualizza e lo spirito si incarna. Si spera che le luci di queste trasformazioni avvolgano il pittore e anche chi contempla le icone.
Pensiero
In secondo luogo entra nel gioco la cultura che è l’insieme dei fattori umani segnati dal pensiero. In altre parole l’icona appartiene ad una tradizione. Si può parlare di una convenzione, di un canone, di una teoria o dottrina, di una simbologia. Io, pur conoscendo, praticando e apprezzando altri generi e convenzioni artistiche, principalmente dipingo le icone, per ragioni che non riesco a comprendere a fondo. Dipingendo qualsiasi cosa tendo verso l’espressività e la tematica iconica. Alla base di questa mia tendenza sta senza dubbio la mia provenienza geografica, la mia formazione culturale e l’interesse per la mistica coltivato per decenni attraverso letture e meditazioni, tra cui il posto privilegiato è occupato dalla mistica bizantina, simbolicamente rappresentata dalla Filocalia. Oserei dire che il mio cuore è iconico e filocalico e io mi trovo assai comodo in questa corrente.
La tradizione è legata alla riflessione, perciò il mio dipingere le icone è accompagnato dalle letture dei libri che ne parlano. Ma non solo. Ho visto molte gallerie d’arte e musei, ho visitato chiese antiche e moderne riempite di icone. Ho insegnato l’iconografia nelle università e ne ho scritto libri che mi hanno permesso di approfondire l’argomento.
Quando guardo le icone mi sento catturato da una o dall’altra di esse che mi sussurra il suo desiderio di essere dipinta anche da me. Mi colpisce un tema o un elemento, ad esempio un cerchio, una combinazione di colori, una pennellata e ancora qualcos’altro che non riesco e non ho bisogno di capire. Mentre contemplo le icone, certo le vedo, ma ancora di più mi sento visto da esse e penetrato dalla loro presenza che lascia in me le intuizioni che prima o poi, lo so, si faranno pittura.
Mi inserisco nella tradizione spirituale dell’icona e nella sua convenzione artistica, ma non riesco a fare delle semplici copie, perché aggiungo qualcosa di mio, incominciando dalle tecniche che uso. Nella pittura mi servo di tempere e di colori acrilici, liberamente mescolati insieme. Sono convinto che la tradizione iconica è viva quando si cercano nuove vie dell’espressione. L’arte, anche questa dell’icona, non è archeologia, ma vita e non va confusa con il “musealismo” che è rispettoso, ma sterile. Tradizione non vuol dire ripetere, ma assumere, trascendere e creativamente portare avanti.
Spirito
Dipingo perché sono affascinato dall’invisibile. Paradossalmente è proprio l’esperienza dell’invisibile che mi invia verso le forme geometriche e le macchie di colore ben precise. L’invisibilità per l’icona è come il silenzio per la musica e il vuoto per la parola. In altre termini, dipingo un’icona perché ho toccato o sono stato toccato dall’invisibile e desidero comunicare questa esperienza. Ogni tanto però dipingo anche perché anelo a questa invisibilità e la cerco nel processo creativo. Ancora altre volte lo faccio perché l’invisibile si è fatto troppo denso in me e desidero, attraverso il ponte della pittura, rientrare nel mondo. L’aspirazione di uscire dal mondo verso l’invisibile e il desiderio di essere in comunione con il mondo visibile sono le due dinamiche per mezzo di cui l’icona nasce.
Posso avere lunghi periodi in cui non dipingo, perché sono preso dall’invisibile, assorbito nei pensieri o dedicato alla meditazione silenziosa, ma sono proprio questi i tempi in cui cresce e matura l’esperienza iconica.
A casa praticamente non tengo le icone ed esse non si trovano nello studio in cui dipingo. Per dipingere ho bisogno di una mente sgombra, di una parete bianca, di un’asse liscia.
Nel periodo in cui dipingo un’icona, la penso mentre cammino, la sogno quando dormo e la medito in uno stato di semi veglia. Amo alzarmi prima dell’aurora per sedermi a terra, nell’oscurità, di fronte all’icona che dipingo e restare ad osservarla dal buio della notte: con l’arrivo graduale della luce del giorno, emergono lentamente le forme e i colori che, giorno dopo giorno, si fanno più espliciti. Questi sono per me i momenti importanti nel dipingere, anche se fatti senza il pennello in mano.
Poi, ad un tratto, sento che l’icona è finita e la lascio andare dalla mia attenzione, dal mio sguardo, dalla mia casa ed essa se ne va e io di nuovo mi immergo nell’invisibile.
Desidero aggiungere un’osservazione linguistica, ma che va ben oltre. Un certo gergo sottolinea che le icone non sono dipinte ma scritte e uno che le dipinge non è un pittore, ma un iconografo, cioè uno che scrive le icone. Si fa questa distinzione per contrassegnare un quadro da un icona, ma a me questa distinzione non piace, perché favorisce troppo la parola e il pensiero a scapito di altre dimensione dell’uomo e tragicamente lacera la realtà in sacro e in profano. Ma la forza dell’icona sta proprio nel fatto che è appunto dipinta e non scritta, simbolica e non dottrinale, intuitiva e non concettuale. Potrei ammettere di scrivere le icone solo se lo scrivere stesso fosse considerato come dipingere, come ci dice la nobile tradizione della calligrafia.
Relazione
Dipingo le icone “per”, cioè in relazione con gli altri. Quasi sempre dipingo concretamente per qualcuno o per un gruppo di persone che cerco di conoscere. In altre parole, dipingo perché un’icona mi è stata commissionata e il processo stesso della commissione, che ha le sue tappe, è molto importante. Con le persone che richiedono un’icona, quando questo è possibile, dialogo sul tema, sulle dimensioni e persino sulla tonalità dei colori. Le scelte si fanno insieme, anche se poi il processo creativo va per conto suo e il risultato non è del tutto prevedibile.
Questo include anche l’economia, ossia lo scambio delle energie. La gente paga, cioè mi offre l’energia della sua vita e del suo lavoro che si sono fatti denaro e io in cambio offro il mio tempo, il materiale necessario per fare un’icona, la mia esperienza, conoscenza e energia creativa.
Succede che dipinga solo per me e in tal caso l’intero processo creativo si svolge tra me e me e ha in sé qualcosa di meditativo. L’icona mi permette di relazionarmi a diversi strati di me in un modo diverso, nuovo, più profondo, di conoscermi e di lasciarmi conoscere per l’ignoto presente nel mio cuore.
L’icona è un mezzo di comunicazione, di comunione e il simbolo profondo della relazione tra gli uomini e le donne, tra noi e il cosmo, tra noi e la tradizione spirituale e l’intero mondo della cultura, tra il visibile e l’invisibile. Forse il mondo esiste perché siano in esso anche le icone e le tradizioni spirituali continuano perché possano apparire questi simboli dell’incontro tra il visibile e l’invisibile, perché sia vissuta l’unione armoniosa di tutto ciò, schiudendo uno spazio iconico esteso ovunque. È stupendo poter vedere il volto dell’altro come un’icona e così anche percepire la realtà intera.
©MaciejBielawski (2014)