Rita e Carlo Brutti sul libro
"Panikkar. Un uomo e il suo pensiero" Rita Brutti: Preparando questa presentazione del libro di Maciej Bielawski*, Carlo ed io abbiamo pensato che dovesse svolgersi secondo quello stile del dialogo dialogale tanto caro a Panikkar: un dialogo con chi ha letto il libro e con chi non l’ha ancora letto; con chi ha conosciuto Panikkar; con chi ne ha studiato il pensiero e con chi ne sente parlare forse per la prima volta. Per introdurre questo dialogo è però necessario che vi chiariamo perché Carlo e Rita Brutti presentano questo libro e, soprattutto, perché lo fanno nella veste di direttori dell’Istituto di Psicosomatica Aberastury e non solo in quella di amici di Raimundo Panikkar. Possiamo subito dire che da amici di una vita e da persone che hanno sentito le idee di Raimundo aprire loro nuovi orizzonti, abbiamo pensato che questo libro potesse fare da cassa di risonanza del suo pensiero, mostrandone la centralità nella cultura del novecento e allargando, nel contempo, l’orizzonte della sua visibilità. |
Da psicoanalisti e direttori di un Istituto che propone formazione e attività clinica basata su quanto chiamiamo “psicoanalisi a-dualista” (advaitica in termini panikkariani), con questa presentazione vogliamo rendere omaggio a Raimundo Panikkar, esplicitando quanto la nostra impostazione sia debitrice del suo pensiero in merito alla “relazione” (e quindi anche a quella terapeutica) che è quanto ci ha permesso di spingerci nel percorso psicoanalitico verso inediti avanzamenti. Su questo non possiamo ora soffermarci, ma ci piace ricordare che nella sala delle conferenze del nostro Istituto c’è un affresco alla cui base abbiamo scritto una frase in sanscrito, greco e latino: Il mio corpo è il mio simbolo. Questa frase (suggerita da Panikkar e che scegliemmo come titolo dei due seminari che nell’ottanta e nell’ottantuno organizzammo rispettivamente con lo stesso Panikkar e con lo psicoanalista Luis Chiozza) la ponemmo a fondamento della nostra costruzione teorica e del nostro itinerario clinico. Va anche ricordato che con Raimundo Panikkar, dalla fine degli anni settanta, Carlo e io abbiamo portato avanti un progetto di incontri interdisciplinari (sul rapporto tra psicoanalisi, antropologia e filosofia) che in parte abbiamo pubblicato. Su questo singolare progetto non mi dilungo perché ci siamo impegnati a scriverne dettagliatamente.
È ora il momento di darvi qualche notizia sul nostro incontro con il Prof. Bielawski. Ci telefonò pochi mesi dopo la morte di Raimundo perché voleva scrivere una sua biografia e, non potendo accedere agli archivi, cercava qualcuno che lo avesse conosciuto a fondo per recuperare tracce della sua vita. In quel periodo erano già apparsi diversi scritti sull’opera di Panikkar e, soprattutto, memorie, interviste, video, alcuni molto discutibili, altri significativi come ad esempio il testo “Riflessi” in cui Achille Rossi ci offre un suggestivo squarcio della sua amicizia con Panikkar. Ma non era comparsa ancora nessuna biografia (cioè nessun racconto sulla vita e sul pensiero di Panikkar che ne ripercorresse tutto l’arco esistenziale). Fu allora che incontrammo Maciej e capimmo subito che la richiesta di collaborare al suo progetto non ci veniva fatta da un giornalista che cercava di cavalcare l’onda dell’interesse intorno a Panikkar. Proveniva invece da un intellettuale che ne conosceva profondamente l’opera; che già aveva scritto su di lui; che, pur non avendolo conosciuto personalmente, provava quell’amicizia profonda e quella gratitudine che ci legano ad un Autore le cui idee entrano nella nostra vita accompagnandoci anche in scelte difficili. Capimmo, inoltre, che Maciej non voleva mettere insieme una sterile raccolta di fatti, ma recuperare lo stretto legame fra opera e vita. Questo progetto ci ha commosso e convinto e intorno ad esso si è instaurata un’amicizia con Maciej all’insegna di quella che sia noi che lui abbiamo con Raimundo. Fu così, che in vari incontri, offrimmo al Prof. Bielawski qualche traccia, qualche riflessione, contatti e piste che egli, da raffinato esploratore, ha seguito e moltiplicato scoprendo cose impensabili anche per noi che ci reputiamo – ovviamente!!! – fra i più antichi e intimi amici di Raimundo Panikkar. Amici che venivano così a conoscere aspetti inediti della sua vita, recuperandone un ricordo più complesso e, addirittura, più intimo.
Ora alcuni brevi commenti sul libro che qui ci ha riuniti. Già dalle prime note che il Prof. Bielawski ha voluto che leggessimo durante la sua ricerca, ci rendemmo conto anche che egli pensava a questa biografia come ad un generoso esercizio di apertura. E successivamente la rilettura del suo libro ci ha confermato questa impressione: Maciej vi appare instancabile nel segnalare snodi da cui auspica che qualcuno prenda le mosse per proseguire la ricerca, elaborare tesi, scoprire quanto lui non ha potuto trovare. Ma particolarmente preziosa ci è apparsa la sua competente precisione nel correlare eventi e scritti mostrando la dinamica vitale tra pensiero ed esperienza: egli infatti segnala scritti anticipatori dell’avventura esistenziale di Panikkar ed eventi che anticipano riflessioni successive. Ci si delinea così una spirale nella quale vita e pensiero si intersecano attorno alla coerente ricerca di quel “ritmo dell’essere” che costituirà l’ultima opera di Panikkar.
Un esempio: a pag. 111 riporta un aneddoto che ci descrive un Panikkar trentenne (siamo nel 1948) e che, allora, viveva una religiosità molto tradizionale, ma già in grado di correggere, con sottile ironia, la sua assistente relativamente alla confusione fra religione e religioni. L’assistente – che stava trascrivendo un suo manoscritto su quel tema – chiese a Panikkar: “Ha scritto ‘religioni’ al plurale sul presupposto che tutte le religioni siano vere?”. E Panikkar “E quante religioni considera vere, lei?”. L’assistente replica che una sola è vera: la cattolica apostolica romana. Panikkar allora le chiede come definisce le altre e l’assistente: “Be’, religioni naturali” al che Panikkar, divertito: “Ah! non sapevo che per lei la religione cattolica apostolica romana fosse una religione artificiale…”. Con questo aneddoto, Maciej sembra voler segnalare come le parole di Panikkar anticipassero l’esperienza successiva in merito al suo incontro con le grandi religioni dell’India e tutta la tematica interreligiosa che approfondì nel ’64 proprio nel libro “Religione e Religioni”, il cui nucleo Bielawski trova in questo illuminante pensiero (p.166): “La fede non è l’adesione a una dottrina o a un’etica… ma qualcosa in comune a tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro credenze religiose”. Parole sulle quali non si può cessare di riflettere.
Leggendo il testo di Bielawski emergono tanti altri esempi. Ci piacerebbe illustrarli, ma qui ci limitiamo a segnalare che tutti convergono verso quello sforzo fondamentale della vita e dell’opera di Panikkar che l’Autore riconosce teso a creare una nuova visione della realtà. (Una visione “relazionale” nella quale, come già abbiamo accennato, noi collochiamo la “psicoanalisi che viene” ma che fa da retroterra epistemologico anche ai nuovi sviluppi della biologia, della fisica, e della medicina).
Rispetto alla comprensione della figura di Panikkar, così come emerge dal libro, abbiamo l’impressione che si dipartano almeno due strade che si incrociano continuamente:
La prima strada ci conduce verso un intellettuale che è stato al centro di un crocicchio di relazioni straordinarie con i massimi intellettuali europei e i grandi antesignani dell’incontro fra religioni. Ma un intellettuale impegnato, come specificherebbe Luis Chiozza che con tale dizione intende “chi mette la sua intera vita in quello che dice” aggiungendo che, per parlare di impegno, è necessario che pensiero, sentimento e volontà si intreccino in una amalgama di cervello, cuore e fegato che ci coinvolgono nelle loro funzioni.
La seconda strada ci avvicina all’interiorità di quel personaggio che pur essendo – come scrive Bielawski – “tra le più alte menti della nostra epoca” continua ad essere un uomo che sentiamo più vicino proprio per questa sua umanità che ce lo fa immaginare, ad esempio, in India dove – mentre sta vivendo l’esperienza straordinaria dell’incontro con Le Saux – scrive all’amico Castelli “di sentirsi solo”. E sono proprio questa e simili confessioni a rendere più credibile l’immagine dell’intellettuale capace di procedere, sempre sorridente e apparentemente senza conflitti o pene, fra situazioni che sarebbero sconcertanti per chiunque, calate come sono in mondi diversi, lontani, e a prima vista, incomprensibili. Così capiamo – come scrive Bielawski – che non bastava il suo essere figlio di madre catalana e di padre indiano a permettergli di affrontare tutto ciò tranquillamente, quasi risolto a priori. E possiamo comprendere lo sforzo che egli ha fatto, al fine di perseguire il suo ideale, di integrare amore, intelligenza e quella passione che molti di noi hanno inteso ardere in lui senza che egli lasciasse intravedere quanto gli costasse alimentarla.
Vorremmo segnalare un terzo livello di lettura del libro, assai utile per chi vuol conoscere il pensiero di Panikkar, che viene sintetizzato nella mappa delle opere di Raimundo che Maciej delinea nella sintesi su “Personaggio e opera” (p.256). Come un cartografo “che trasforma il territorio in mappa e adopera il binocolo” Bielawski mette in luce cinque zone in cui distribuisce i libri più rappresentativi di Panikkar: dialogo e pace; spiritualità; cristofania; cosmoteandrismo; ecosofia e teofisica. Una mappa preziosa perché orienta nella ricerca di argomenti da approfondire.
Prima di concludere, vorrei ringraziare Bielawski per questo suo libro che termina con la poetica descrizione della mappa di “Panikkar City”: una guida per inoltrarci in un luogo così affascinante e complesso, camminando per le sue strade, sostando nelle sue piazze, aprendoci a nuovi orizzonti, senza il rischio di perderci nei vicoli ciechi dei fraintendimenti e di indebiti malintesi.
Carlo Brutti: Rita ed io abbiamo avuto il privilegio e il piacere di leggere il libro di Maciej Bielawski in anteprima. Ci colpì molto. Quando Maciej ci chiese di esprimere con un pensiero la reazione che il libro aveva suscitato in noi, subito gli scrivemmo: “Questo libro ci restituisce una figura autentica di Raimundo Panikkar come noi l’abbiamo conosciuto e amato”. Siamo grati a Maciej per aver scelto questa frase da apporre, accanto a quella di Raimundo Panikkar (che è la sintesi della sua straordinaria vita spirituale) in quarta pagina di copertina del libro. Non si è trattato di un giudizio di maniera. Quando nel 2010 ebbe inizio la pubblicazione dell’“Opera Omnia” di Raimundo Panikkar, Rita ed io scrivemmo per l’Altrapagina un articolo in cui sostenevamo che due erano le fonti da cui ci perveniva l’eredità spirituale di quel grande amico: la sua vita e i suoi scritti. Da entrambi si potevano ricevere preziosi ed essenziali insegnamenti. In molti potremmo testimoniarlo. Leggere questa biografia di Raimundo Panikkar a cui con finezza, profondità e passione si è dedicato Maciej Bielawski, ci ha fatto fare un passo avanti. Ci ha fatto capire più a fondo quanto già Panikkar aveva sottolineato e cioè che la sua vita corrispondeva ai suoi scritti che i suoi scritti erano la sua vita: una circolarità armoniosa che ci fa intendere come le scelte di Raimundo Panikkar siano state consequenziali, cioè coerenti, ai pensieri e agli scritti che andava elaborando e questi ultimi, a loro volta, non potevano non derivargli dalla sua vita e dalle sue esperienze che in essi si riflettevano. Molti hanno sostenuto il contrario, proponendo una tesi opposta a quella indicata da Maciej Bielawski (e da Panikkar stesso), e cioè che di un Autore una cosa è la vita e un’altra cosa la sua opera. E a dimostrazione di ciò viene sostenuto, ad esempio, che alla vita di Aristotele nessuno si interessa, mentre al suo pensiero da sempre attingiamo. Da sempre, certo, lo facciamo ma il problema è un altro: sta nel sapere se il pensiero di Aristotele può essere più profondamente capito se letto anche alla luce della storia della sua vita, delle sue relazioni umane. (Come – per fare un altro esempio – pensando a Socrate: è forse irrilevante sapere del suo rapporto con Santippe per comprendere meglio il pensiero di uno dei Padri dell’Occidente?). E questo vale per ogni grande Autore.
In definitiva, non c’è nessun pensatore o scienziato di rilievo di cui, prima o poi, non si esplori la vita: non solo per curiosità ma per capire meglio la sua opera, talora anche per demolirla. La vita di ogni Autore è il libro più difficile da decifrare ma, meditandolo, possiamo scoprire che proprio lì è nascosta la chiave di lettura più importante per decifrarne il pensiero che l’attraversa.
Dobbiamo allora chiederci: perché quando si approcciano importanti Autori si insiste sulla dissociazione tra la vita e il pensiero? Tentiamo di formulare una ipotesi. Non è difficile constatare che l’esaltazione della loro opera va – almeno agli inizi – di pari passo con la loro mitizzazione. Di essi si fanno degli eroi, degli übermensch al di sopra degli uomini comuni. (E non fa scandalo che a questa mitizzazione contribuiscono gli stessi personaggi in questione, con il loro carattere e il loro stile di vita e di rapporto). Il discorso a questo punto si fa sottile perché riguarda il nesso tra mito e mitizzazione. Vorremmo ancora una volta appoggiarci a Raimundo Panikkar che tanto ha disquisito sul mito. Egli ha scritto che “il mito designa la base, lo stato di partenza nella elaborazione di un sapere: è quello che si impone spontaneamente come […] qualcosa cui si crede così profondamente che non si crede nemmeno che si creda. […] (Il mito allora) è questo stato che non si mette in discussione, […] designa un orizzonte di intelligibilità […] verso cui si cammina senza, tuttavia, mai raggiungerlo: è la condizione di fondo che ci permette di comprendere ogni cosa”.
Non mi azzarderò a commentare questo pensiero di Raimundo Panikkar se non per dire che il mito che è la condizione per scoprire l’incanto della vita e del pensiero, se si traduce in mitologia, cioè nella costruzione narrativa del mito, può banalizzarsi e perfino dissolversi. Ma il rischio più grave è quando facciamo del mito un fatto personale, come qualcosa di nostra proprietà. Si tratta di una operazione indebita che distrugge il mito, che è al di là di ogni strategia di cattura. Se viene attuata, tale operazione sfocia in aspri conflitti tra coloro che si autoproclamano esclusivi eredi di un grande personaggio di cui ritengono di dover custodire sia il mito che il ricordo. Di questo travaglio dell’eredità panikkariana, Maciej accenna con discrezione, ben sapendo che il tempo dirimerà le nebbie che si sono addensate pure attorno alla figura di Raimundo Panikkar. A noi, lontani da ogni pettegolezzo e diatriba, è sufficiente quanto ci ha lasciato Raimundo per continuare il nostro dialogo con Lui nello spirito di quell’armonia che rappresentava l’ideale verso cui tendeva. Per conseguirlo, Panikkar ha dedicato la sua intera esistenza, la forza del suo pensiero, tutta la passione della sua anima. Maciej Bielawski ha colto tutto ciò e gli siamo grati per avercelo ricordato col suo prezioso libro.
Presentazione del libro di Maciej Bielawski “Panikkar. Un uomo e il suo pensiero”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica Psicoanalitica Aberastury, Hotel Decò, Perugia, 15 marzo 2013
È ora il momento di darvi qualche notizia sul nostro incontro con il Prof. Bielawski. Ci telefonò pochi mesi dopo la morte di Raimundo perché voleva scrivere una sua biografia e, non potendo accedere agli archivi, cercava qualcuno che lo avesse conosciuto a fondo per recuperare tracce della sua vita. In quel periodo erano già apparsi diversi scritti sull’opera di Panikkar e, soprattutto, memorie, interviste, video, alcuni molto discutibili, altri significativi come ad esempio il testo “Riflessi” in cui Achille Rossi ci offre un suggestivo squarcio della sua amicizia con Panikkar. Ma non era comparsa ancora nessuna biografia (cioè nessun racconto sulla vita e sul pensiero di Panikkar che ne ripercorresse tutto l’arco esistenziale). Fu allora che incontrammo Maciej e capimmo subito che la richiesta di collaborare al suo progetto non ci veniva fatta da un giornalista che cercava di cavalcare l’onda dell’interesse intorno a Panikkar. Proveniva invece da un intellettuale che ne conosceva profondamente l’opera; che già aveva scritto su di lui; che, pur non avendolo conosciuto personalmente, provava quell’amicizia profonda e quella gratitudine che ci legano ad un Autore le cui idee entrano nella nostra vita accompagnandoci anche in scelte difficili. Capimmo, inoltre, che Maciej non voleva mettere insieme una sterile raccolta di fatti, ma recuperare lo stretto legame fra opera e vita. Questo progetto ci ha commosso e convinto e intorno ad esso si è instaurata un’amicizia con Maciej all’insegna di quella che sia noi che lui abbiamo con Raimundo. Fu così, che in vari incontri, offrimmo al Prof. Bielawski qualche traccia, qualche riflessione, contatti e piste che egli, da raffinato esploratore, ha seguito e moltiplicato scoprendo cose impensabili anche per noi che ci reputiamo – ovviamente!!! – fra i più antichi e intimi amici di Raimundo Panikkar. Amici che venivano così a conoscere aspetti inediti della sua vita, recuperandone un ricordo più complesso e, addirittura, più intimo.
Ora alcuni brevi commenti sul libro che qui ci ha riuniti. Già dalle prime note che il Prof. Bielawski ha voluto che leggessimo durante la sua ricerca, ci rendemmo conto anche che egli pensava a questa biografia come ad un generoso esercizio di apertura. E successivamente la rilettura del suo libro ci ha confermato questa impressione: Maciej vi appare instancabile nel segnalare snodi da cui auspica che qualcuno prenda le mosse per proseguire la ricerca, elaborare tesi, scoprire quanto lui non ha potuto trovare. Ma particolarmente preziosa ci è apparsa la sua competente precisione nel correlare eventi e scritti mostrando la dinamica vitale tra pensiero ed esperienza: egli infatti segnala scritti anticipatori dell’avventura esistenziale di Panikkar ed eventi che anticipano riflessioni successive. Ci si delinea così una spirale nella quale vita e pensiero si intersecano attorno alla coerente ricerca di quel “ritmo dell’essere” che costituirà l’ultima opera di Panikkar.
Un esempio: a pag. 111 riporta un aneddoto che ci descrive un Panikkar trentenne (siamo nel 1948) e che, allora, viveva una religiosità molto tradizionale, ma già in grado di correggere, con sottile ironia, la sua assistente relativamente alla confusione fra religione e religioni. L’assistente – che stava trascrivendo un suo manoscritto su quel tema – chiese a Panikkar: “Ha scritto ‘religioni’ al plurale sul presupposto che tutte le religioni siano vere?”. E Panikkar “E quante religioni considera vere, lei?”. L’assistente replica che una sola è vera: la cattolica apostolica romana. Panikkar allora le chiede come definisce le altre e l’assistente: “Be’, religioni naturali” al che Panikkar, divertito: “Ah! non sapevo che per lei la religione cattolica apostolica romana fosse una religione artificiale…”. Con questo aneddoto, Maciej sembra voler segnalare come le parole di Panikkar anticipassero l’esperienza successiva in merito al suo incontro con le grandi religioni dell’India e tutta la tematica interreligiosa che approfondì nel ’64 proprio nel libro “Religione e Religioni”, il cui nucleo Bielawski trova in questo illuminante pensiero (p.166): “La fede non è l’adesione a una dottrina o a un’etica… ma qualcosa in comune a tutti gli uomini, indipendentemente dalle loro credenze religiose”. Parole sulle quali non si può cessare di riflettere.
Leggendo il testo di Bielawski emergono tanti altri esempi. Ci piacerebbe illustrarli, ma qui ci limitiamo a segnalare che tutti convergono verso quello sforzo fondamentale della vita e dell’opera di Panikkar che l’Autore riconosce teso a creare una nuova visione della realtà. (Una visione “relazionale” nella quale, come già abbiamo accennato, noi collochiamo la “psicoanalisi che viene” ma che fa da retroterra epistemologico anche ai nuovi sviluppi della biologia, della fisica, e della medicina).
Rispetto alla comprensione della figura di Panikkar, così come emerge dal libro, abbiamo l’impressione che si dipartano almeno due strade che si incrociano continuamente:
La prima strada ci conduce verso un intellettuale che è stato al centro di un crocicchio di relazioni straordinarie con i massimi intellettuali europei e i grandi antesignani dell’incontro fra religioni. Ma un intellettuale impegnato, come specificherebbe Luis Chiozza che con tale dizione intende “chi mette la sua intera vita in quello che dice” aggiungendo che, per parlare di impegno, è necessario che pensiero, sentimento e volontà si intreccino in una amalgama di cervello, cuore e fegato che ci coinvolgono nelle loro funzioni.
La seconda strada ci avvicina all’interiorità di quel personaggio che pur essendo – come scrive Bielawski – “tra le più alte menti della nostra epoca” continua ad essere un uomo che sentiamo più vicino proprio per questa sua umanità che ce lo fa immaginare, ad esempio, in India dove – mentre sta vivendo l’esperienza straordinaria dell’incontro con Le Saux – scrive all’amico Castelli “di sentirsi solo”. E sono proprio questa e simili confessioni a rendere più credibile l’immagine dell’intellettuale capace di procedere, sempre sorridente e apparentemente senza conflitti o pene, fra situazioni che sarebbero sconcertanti per chiunque, calate come sono in mondi diversi, lontani, e a prima vista, incomprensibili. Così capiamo – come scrive Bielawski – che non bastava il suo essere figlio di madre catalana e di padre indiano a permettergli di affrontare tutto ciò tranquillamente, quasi risolto a priori. E possiamo comprendere lo sforzo che egli ha fatto, al fine di perseguire il suo ideale, di integrare amore, intelligenza e quella passione che molti di noi hanno inteso ardere in lui senza che egli lasciasse intravedere quanto gli costasse alimentarla.
Vorremmo segnalare un terzo livello di lettura del libro, assai utile per chi vuol conoscere il pensiero di Panikkar, che viene sintetizzato nella mappa delle opere di Raimundo che Maciej delinea nella sintesi su “Personaggio e opera” (p.256). Come un cartografo “che trasforma il territorio in mappa e adopera il binocolo” Bielawski mette in luce cinque zone in cui distribuisce i libri più rappresentativi di Panikkar: dialogo e pace; spiritualità; cristofania; cosmoteandrismo; ecosofia e teofisica. Una mappa preziosa perché orienta nella ricerca di argomenti da approfondire.
Prima di concludere, vorrei ringraziare Bielawski per questo suo libro che termina con la poetica descrizione della mappa di “Panikkar City”: una guida per inoltrarci in un luogo così affascinante e complesso, camminando per le sue strade, sostando nelle sue piazze, aprendoci a nuovi orizzonti, senza il rischio di perderci nei vicoli ciechi dei fraintendimenti e di indebiti malintesi.
Carlo Brutti: Rita ed io abbiamo avuto il privilegio e il piacere di leggere il libro di Maciej Bielawski in anteprima. Ci colpì molto. Quando Maciej ci chiese di esprimere con un pensiero la reazione che il libro aveva suscitato in noi, subito gli scrivemmo: “Questo libro ci restituisce una figura autentica di Raimundo Panikkar come noi l’abbiamo conosciuto e amato”. Siamo grati a Maciej per aver scelto questa frase da apporre, accanto a quella di Raimundo Panikkar (che è la sintesi della sua straordinaria vita spirituale) in quarta pagina di copertina del libro. Non si è trattato di un giudizio di maniera. Quando nel 2010 ebbe inizio la pubblicazione dell’“Opera Omnia” di Raimundo Panikkar, Rita ed io scrivemmo per l’Altrapagina un articolo in cui sostenevamo che due erano le fonti da cui ci perveniva l’eredità spirituale di quel grande amico: la sua vita e i suoi scritti. Da entrambi si potevano ricevere preziosi ed essenziali insegnamenti. In molti potremmo testimoniarlo. Leggere questa biografia di Raimundo Panikkar a cui con finezza, profondità e passione si è dedicato Maciej Bielawski, ci ha fatto fare un passo avanti. Ci ha fatto capire più a fondo quanto già Panikkar aveva sottolineato e cioè che la sua vita corrispondeva ai suoi scritti che i suoi scritti erano la sua vita: una circolarità armoniosa che ci fa intendere come le scelte di Raimundo Panikkar siano state consequenziali, cioè coerenti, ai pensieri e agli scritti che andava elaborando e questi ultimi, a loro volta, non potevano non derivargli dalla sua vita e dalle sue esperienze che in essi si riflettevano. Molti hanno sostenuto il contrario, proponendo una tesi opposta a quella indicata da Maciej Bielawski (e da Panikkar stesso), e cioè che di un Autore una cosa è la vita e un’altra cosa la sua opera. E a dimostrazione di ciò viene sostenuto, ad esempio, che alla vita di Aristotele nessuno si interessa, mentre al suo pensiero da sempre attingiamo. Da sempre, certo, lo facciamo ma il problema è un altro: sta nel sapere se il pensiero di Aristotele può essere più profondamente capito se letto anche alla luce della storia della sua vita, delle sue relazioni umane. (Come – per fare un altro esempio – pensando a Socrate: è forse irrilevante sapere del suo rapporto con Santippe per comprendere meglio il pensiero di uno dei Padri dell’Occidente?). E questo vale per ogni grande Autore.
In definitiva, non c’è nessun pensatore o scienziato di rilievo di cui, prima o poi, non si esplori la vita: non solo per curiosità ma per capire meglio la sua opera, talora anche per demolirla. La vita di ogni Autore è il libro più difficile da decifrare ma, meditandolo, possiamo scoprire che proprio lì è nascosta la chiave di lettura più importante per decifrarne il pensiero che l’attraversa.
Dobbiamo allora chiederci: perché quando si approcciano importanti Autori si insiste sulla dissociazione tra la vita e il pensiero? Tentiamo di formulare una ipotesi. Non è difficile constatare che l’esaltazione della loro opera va – almeno agli inizi – di pari passo con la loro mitizzazione. Di essi si fanno degli eroi, degli übermensch al di sopra degli uomini comuni. (E non fa scandalo che a questa mitizzazione contribuiscono gli stessi personaggi in questione, con il loro carattere e il loro stile di vita e di rapporto). Il discorso a questo punto si fa sottile perché riguarda il nesso tra mito e mitizzazione. Vorremmo ancora una volta appoggiarci a Raimundo Panikkar che tanto ha disquisito sul mito. Egli ha scritto che “il mito designa la base, lo stato di partenza nella elaborazione di un sapere: è quello che si impone spontaneamente come […] qualcosa cui si crede così profondamente che non si crede nemmeno che si creda. […] (Il mito allora) è questo stato che non si mette in discussione, […] designa un orizzonte di intelligibilità […] verso cui si cammina senza, tuttavia, mai raggiungerlo: è la condizione di fondo che ci permette di comprendere ogni cosa”.
Non mi azzarderò a commentare questo pensiero di Raimundo Panikkar se non per dire che il mito che è la condizione per scoprire l’incanto della vita e del pensiero, se si traduce in mitologia, cioè nella costruzione narrativa del mito, può banalizzarsi e perfino dissolversi. Ma il rischio più grave è quando facciamo del mito un fatto personale, come qualcosa di nostra proprietà. Si tratta di una operazione indebita che distrugge il mito, che è al di là di ogni strategia di cattura. Se viene attuata, tale operazione sfocia in aspri conflitti tra coloro che si autoproclamano esclusivi eredi di un grande personaggio di cui ritengono di dover custodire sia il mito che il ricordo. Di questo travaglio dell’eredità panikkariana, Maciej accenna con discrezione, ben sapendo che il tempo dirimerà le nebbie che si sono addensate pure attorno alla figura di Raimundo Panikkar. A noi, lontani da ogni pettegolezzo e diatriba, è sufficiente quanto ci ha lasciato Raimundo per continuare il nostro dialogo con Lui nello spirito di quell’armonia che rappresentava l’ideale verso cui tendeva. Per conseguirlo, Panikkar ha dedicato la sua intera esistenza, la forza del suo pensiero, tutta la passione della sua anima. Maciej Bielawski ha colto tutto ciò e gli siamo grati per avercelo ricordato col suo prezioso libro.
Presentazione del libro di Maciej Bielawski “Panikkar. Un uomo e il suo pensiero”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica Psicoanalitica Aberastury, Hotel Decò, Perugia, 15 marzo 2013